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Un mito alla volta: LA DOLCE VITA
Già noto al grande pubblico per i successi internazionali dei suoi film precedenti come “I vitelloni” o “ La strada “, nel 1960 Fellini compie un’operazione dirompente che farà di lui l’autore cinematografico italiano più conosciuto al mondo. “ La dolce vita “ a 60 anni di distanza resta un film culto per una serie di motivi se vogliamo superficiali come la terminologia che verrà acquisita dai vocabolari: il titolo stesso o paparazzo per i fotoreporter dediti al gossip. A cui aggiungere naturalmente sequenze che sono entrate direttamente nel mito della storia del cinema come il celeberrimo bagno nella fontana di Trevi di Anita con il suo altrettanto celebre richiamo : “Marcello come Here “ . Ma vi sono anche ragioni più profonde che fanno de “ La dolce vita “ uno spartiacque : il suo potenziale predittivo e la sua composizione a mosaico. Fellini anticipa i tempi e invia al paese un avvertimento, la grande trasformazione sociale, il rapido sviluppo economico e i mutamenti culturali innescati alla fine degli anni 50 , saranno portatori di conseguenze gravi come una perdita di identità e una crisi di valori e devastazioni del territorio che lasceranno il segno in futuro. La rottura brutale della tradizione è portatrice di ricchezza e di voglia di divertimento ma è anche causa di una dispersione di quella purezza e innocenza che in qualche modo descrivevano il paese nel primo dopoguerra, a favore di un collasso della moralità e dell’equilibrio. Questo sguardo preveggente e pessimista Fellini lo compone con un approccio estetico straordinariamente efficace, un mosaico che si compone e che assume senso nella combinazione delle diverse tessere narrative, le quali per la verità , diversamente dal vero mosaico, hanno una loro compiutezza e autonomia ma che solo nella combinazione con le altre parti permettono la comprensione razionale ed emotiva della visione.