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Un mito alla volta: FANNY E ALEXANDER ( Fanny och Alexander, 1982)

Quasi un congedo artistico, questo film di Ingmar Bergman che raccontando la vita della famiglia Ekdal seguita per due anni all’inizio del ‘900, ripropone alcuni dei temi che hanno percorso tutta la sua opera precedente, ma segnando una cesura piuttosto netta rispetto allo spirito con cui furono raccontati in passato. In questo incantevole film di ampia coralità con qualcosa come sessanta personaggi che dell’esistenza rappresentano le innumerevoli facce, gioia, dolore, commedia, tragedia, amore, sessualità, oppressione, Bergman ritorna sui temi dell’arte, della famiglia, della religione . Ma in opposizione al pessimismo inquieto che aveva caratterizzato le sue riflessioni nei grandi film degli anni ’60 e ’70, laddove nessuna ricerca, neppure quella di Dio, trovava adeguate risposte ai turbamenti dell’esistenza, all’angoscia del pensiero della morte, alle follie e alle superstizioni dell’umanità, in questo decisivo passaggio del suo cinema affiora un nuova serenità. Che si esprime con una rinnovata gioia di vivere che sottende alle vicende degli Ekdal senza mai abbandonarle, e anche quando riappaiono i drammi famigliari o i tormenti della prevaricazione e della tetraggine di un pastore luterano, tutto si risolve verso nuove occasioni di riprendere a vivere senza patemi e rinunce. Insomma, Fanny e Alexander è un inno alla vita che deve essere colta e apprezzata per le innumerevoli dolcezze, per le sue magie, per gli idilli che ci riserva anche se interrotti da qualche patimento. Il Natale, visto con gli occhi dei bambini, che occupa la lunga parte iniziale del film, è manifestazione evidente di questo pensiero rassicurato e sorridente dell’ultimo Bergman, e compone un quadro cinematografico di altissima commozione per il senso di beatitudine che trasmette. E che riporta alla memoria la stessa gioia che in quella notte magica provano tutti i bambini del mondo.