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I sogni neri di ROMAN POLANSKI

La vicenda umana di Roman Polanski ha caratteri talmente peculiari per come è stata segnata da un susseguirsi di tragedie famigliari che è spontaneo vedere nel suo cinema un malessere profondo e un’incapacità alla speranza come conseguenze di una vita che non gli ha risparmiato nulla. Il dato della sua biografia ricorre quindi costantemente nei suoi film, talvolta in modo diretto come nel bellissimo “ Il Pianista” dove la vicenda dei patimenti di un giovane ebreo nella Polonia invasa dai tedeschi è legato ai suoi ricordi di ragazzino rinchiuso nel ghetto di Cracovia da cui riuscirà miracolosamente a fuggire, assistendo però alla deportazione della madre ad Auschwitz. Più sovente il mare nero della vita, in cui sprofonderà anche la giovane moglie Sharon Tate, lo porterà ad esprimere il senso della predominanza del male in modo indiretto ma altrettanto angoscioso: non vi è volontà umana capace di opporsi alle ragioni incomprensibili di chi persegue l’oppressione dell’uomo e rende oscuro e nocivo il mondo. Almeno quattro dei suoi film più noti, “Rosemary’s Baby “, “ L’inquilino del terzo piano”, “ Chinatown” e “ Macbeth”, sono espressione di questa impossibilità di resistere a una volontà superiore, incomprensibile nei suoi disegni e terribilmente distruttiva, capace di sprofondare l’uomo comune in un labirinto senza via di uscita, dove umanità e moralità sono sopraffatte. Un universo filmico inquietante che, data la persistenza del male nel mondo, rende sempre attuale il suo cinema e anche quando gli intenti sembrano più evasivi, come nel caso di “ Frantic”, poliziesco classico alla Hitchcock o semplicemente di ricostruzione storica, come nel suo recentissimo “ L’ufficiale e la spia”, non è difficile osservare e registrare una traccia nera a permeare la vicenda, il solito segno del maligno che opprime le vite di uomini trasformati in veri e propri topi in trappola.