SINEMAHLezioni
Un mito alla volta: AMARCORD ( 1973)
Dopo aver lasciato Rimini, con tutti i limiti esistenziali e culturali della provincia italiana degli anni ’30, ed essersi trasferito a Roma, Fellini raccontò ne I Vitelloni, nel 1953, il deprimente panorama di quel mondo abitato da giovani perdigiorno velleitari e annoiati. Poi si dimenticò di quel contesto e divenne, con i grandi film degli anni ’60, il Fellini che tutto il mondo ha conosciuto e che ha lasciato una traccia vitale nella storia del cinema. Solo nel ’73 sceglie di ritornare alle origini, ma lo fa con un’opera del tutto differente da I Vitelloni, perché sono passati ormai quasi quarant’anni da quando ha lasciato Rimini e ormai prevalgono una certa nostalgia del ricordo, il piacere della memoria quando si volge al lontano passato, la tolleranza benevola anche laddove a suo tempo c’era il disappunto. E gli riesce un altro capolavoro di creatività intriso di verità, anche se ambienti e personaggi sono ricostruiti, i primi nelle dichiaratamente false scenografie di Cinecittà, i secondi nella fantasia prolifica e immaginifica del regista. La galleria dei personaggi che popolano Amarcord è forse la più indimenticabile rassegna di caratteri, di aspirazioni, di illusioni, di delusioni, di amarezze, di speranze, di gioie e dolori che siano mai state rappresentate sullo schermo, e il tono scherzoso e insieme comprensivo con cui quell’umanità viene osservata dal suo autore è indimenticabile. Dalla scuola che è fonte più di scherno che di formazione, al Rex che porta via con sé persino i sogni di chi lo ammira estasiato da una piccola barca, alla Gradisca che alla fine non sposa un emiro ma un semplice carabiniere, siamo portati dunque in quella particolare dimensione del pensiero che attribuisce al passato una sua valenza divertita e malinconica. Il tempo della nostra giovinezza, sembra dirci Fellini, ha un suo diritto speciale di essere ricordato con dolcezza e umorismo, anche quando non lo meriterebbe.